State per leggere la prima parte* di un racconto visivo e sensoriale di emozioni, sentimenti, vissuti che ci hanno accompagnato nei nostri primi 40 anni.
Abbiamo infatti voluto ricostruire, anche con la fantasia e come fosse il soggetto di un film ambientato tra il 1970 e i giorni nostri in Italia, la nostra evoluzione e quella della lavanderia, facendo riferimento soprattutto a un capo – il jeans – che per tutti noi è stato ed è molto più di un semplice “must” del nostro abbigliamento quotidiano: la “sintesi denim” di pensieri, stili di vita, concezioni del mondo.
È una storia di passione e tenacia, di eventi collettivi e di emozioni private, di un mondo dapprima inconsapevole e poi in prima linea nella rivoluzione della sostenibilità.
Una specie di scatola. Grande. Di cemento grigio. Il tetto di eternit. Due finestroni verticali, di vetro opaco. Non c’è neanche un logo, un marchio. C’è scritto solo “lavanderia-tintoria”, a lettere grandi e rosse, quasi a segnalare al tempo stesso un pericolo e una necessità di colore.
E di vita.
Tutt’intorno la nebbia sembra di toccarla: una bolla avvolgente, penetrante e solida, fatta di vapore e smog, che puzza sempre di bruciato. Alzi lo sguardo e più in là vedi gli altri tetti di eternit dei capannoni, altre scatole grigie. Dai camini esce un fumo uguale a quello degli scappamenti dei Transit 1 e dei camion che vanno e vengono senza sosta nella zona industriale, senza perdersi, incredibilmente, come avessero il pilota automatico. O un navigatore ancora da inventare. Visibilità zero. Vivibilità pure. L’atmosfera è questa.
Le nostre macchine, le prime G1, sono i nostri sensori, i nostri occhi turchesi piazzati nelle tintorie e nelle lavanderie.
E mentre noi ci affacciamo ormai da protagonisti su questo mondo creativo e sorprendente, la ricerca dello “used look” degli sbiancamenti e delle usure create ad arte, sulle cuciture, sulle ginocchia e sul sedere, diventa una magnifica ossessione, si fa contagio universale e interclassista.